SMART WORKING E OLTRE

Premessa

L’evento pandemico ha comportato una forte accelerazione di alcuni processi che attraversano il mondo del lavoro degli ultimi anni ma che facevano fatica ad imporsi in maniera decisiva.

Tra questi sicuramente l’avvento della digitalizzazione nel settore dei servizi in generale, e nel settore finanziario in particolare, ha modificato il modo ed i tempi del lavoro in maniera talmente rapida che la contrattazione fa un enorme fatica a trovare una piattaforma atta a regolare i processi messi in campo.

Questo documento della nostra sensibilità vuole fare il punto di alcune situazioni che a nostro avviso necessitano urgentemente di una mobilitazione sindacale e se necessario anche dei lavoratori per evitare una deriva che nei fatti è già presente nel settore.

Come Agor@ abbiamo invocato più volte la necessità di ricostruire una realtà pubblica nel mondo bancario che non sia solo concentrata sugli interessi di pochi individui ma che invece possa essere da supporto all’economia reale del paese.

L’utilizzo sempre più pervasivo di reti digitali controllate da privati viene spesso sottovalutato dal sindacato quando invece questo è il primo meccanismo che ha concesso a molti operatori privati di detenere fonti di informazioni preziose su molti dei propri clienti ed ancor peggio la possibilità di un pervasivo controllo a distanza dove gli utenti diventano materia prima estrattiva di informazioni commerciali da vendere sul mercato dei venditori di prodotti e servizi ed i lavoratori dei robot dall’operatività molto limitata e fortemente monitorata.

In questo contesto il lavoratore non solo rischia di essere sempre più controllato nella sua attività mi si apre anche un processo ancora più pericoloso e cioè quello della confusione oramai definitiva tra tempo privato e tempo lavorativo, portando così il lavoro fin dentro le case e consentendo alle imprese di raggiungere quando si vuole il proprio lavoratore.

Lo smart working interferisce chiaramente con questa sfera del lavoro e se non chiaramente regolamentato e limitato, potrebbe portare a situazioni dove ogni lavoratore lavorerà come nel passato a progetto e/o a cottimo schiacciato dalla necessità del rispetto dei tempi e delle performance.

Inoltre la pandemia ha permesso alle aziende di allontanare definitivamente i lavoratori gli uni dagli altri rendendoli sempre più soli e più difficilmente organizzabili.

Purtroppo la tecnologia non è politicamente neutrale, tra tutti gli sviluppi tecnologici possibili, alla fine sono quelli più consoni agli interessi economici ed alle ideologie in cui queste tecnologie finiscono per operare che prendono il sopravvento e vengono utilizzate per creare maggiori profitti a discapito degli orari e delle condizioni di lavoro.

Lavoro Agile

Nel nostro settore, come abbiamo visto la crisi ha avuto tra le finalità di spingere il settore tra le braccia del lavoro agile.

Siamo tutti consapevoli che in un periodo pandemico il lavoro agile, da remoto, è una soluzione che evita a molti lavoratori contatti fisici e vicinanza con persone riducendo il rischio contagio e quindi riducendo il rischio di circolazione del virus.

Sappiamo anche che per molti lavoratori la modalità di lavoro da remoto consente una maggiore coniugazione tempi di lavoro/tempi personali agevolando la vita privata ed in alcuni casi riducendo i costi connessi al trasferimento casa/ufficio.

Ma non è tutto oro quello che luccica. Il lavoro Agile è stato introdotto da una legge del 2017, approvata dopo una serie di audizione a Camera e Senato che hanno visto coinvolti tra gli altri, ABI ed ANIA ma non le organizzazioni sindacali.

Non è quindi qualcosa nato nel pieno dell’episodio pandemico ma qualcosa studiato prima a tavolino,

Questa legge però non va a chiudere un vuoto normativo come si potrebbe pensare.

Infatti esisteva già la legge che regolamentava il telelavoro e cioè il lavoro da casa con le tutele previste dal lavoro dipendente, legge del 2004 che definiva il telelavoro come una forma di organizzazione e/o svolgimento del lavoro che si avvale delle tecnologie dell’informazione nell’ambito di un contratto o rapporto di lavoro.

Nessuna nega che quella legge potesse essere revisionata ma la sua sostituzione con una nuova forma contrattuale che ha minori tutele, che tende a massimizzare lo sfruttamento del lavoratore facendo si che il lavoro penetri nella propria vita privata deve essere visto con estrema preoccupazione dalla nostra organizzazione.

Sembra quindi che la legge sul lavoro agile non sia stato che un altro capitolo della saga delle riforme liberiste che hanno attraversato gli ultimi 30 anni di vita di questo Paese.

Se andiamo infatti a vedere l’art 1 della legge sul lavoro Agile possiamo notare il tentativo di sfondare definitivamente una delle tipiche caratteristiche del lavoro subordinato:

Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.”

E’ evidente come lavorare per obiettivi e fasi modifichi radicalmente la natura giuridica del lavoro dipendente trasformandolo in un lavoratore a progetto o ancor peggio a cottimo e quindi rendendolo di fatto un libero professionista ma senza l’autonomia tipica di una professione.

Ma c’è un altro passaggio preoccupante riguardante l’orario di lavoro che sebbene sembri adeguatamente tutelante pone il lavoratore in una condizione tale per cui si accentuano i rischi sul benessere stesso delle persone.

C’è l’evidente rischio di veder finire nel nostro settore molti lavoratori a lavorare come nei call center, con tempi di lavoro misurati e con una reale insoddisfazione sia del lavoratore sia del cliente con cui entra in contatto.

Un chiaro tentativo di allontanare progressivamente le aziende dai lavoratori, processo già visto con la sostanziale riduzione dei responsabili del personale e la loro sostanziale delegittimazione a favore della componente commerciale.

È palese che il lavoro agile si presta a questo cambiamento per le modalità di svolgimento che coniuga l’isolamento del lavoratore alla possibilità di un suo controllo continuo e pervasivo ed a lavorazioni valutate a prestazione.

La nostra organizzazione sindacale deve rapidamente chiedere un confronto con le parti datoriali e mobilitare i lavoratori per definire in maniera più stringente questa modalità lavorativa che correli la flessibilità di prestazione con le tutele del lavoro dipendente

I punti salienti di questo confronto devono essere legati essenzialmente al fattore prestazionale che deve essere ricondotto nuovamente al tempo lavorato con diligenza e lealtà e non alla prestazione realizzata.

Devono essere legati al diritto alla disconnessione che deve avvenire in maniera automatica al compimento delle ore lavorative previste dal CCNL di riferimento con disconnessione dello strumento informatico utilizzato salvo richiesta di deroga del lavoratore autorizzata dal datore di lavoro e regolarmente retribuita. Sebbene la legge sul lavoro agile riconosca il diritto alla disconnessione, riconoscere il diritto in questo caso non basta a garantirne l’efficacia.

Occorre predisporre delle occasioni di incontro fra lavoratori che possano portare ad un confronto produttivo e neghino l’isolamento del lavoratore. Infatti la legge sul telelavoro prevede all’articolo 8 che il datore di lavoro garantisca l’adozione di misure dirette a prevenire l’isolamento del telelavoratore rispetto agli altri lavoratori. Nulla di tutto ciò è previsto nella legge sul lavoro agile.

Altra questione che sarebbe da dibattere per lo smart worker è la sede di lavoro in caso di chiusura degli uffici dove era precedentemente allocato. E’ chiaro che una tale evenienza in caso di revoca del lavoro agile porterebbe al lavoratore disagi non indifferenti.

Un ulteriore tema che deve diventare materia di contrattazione e se necessario di lotta riguardano la salute e sicurezza del lavoratore.

Anche in questo caso l’abisso normativo tra la legge sul telelavoro e quella sul lavoro agile va assolutamente colmata a favore dei lavoratori. Non si può demandare la salute e sicurezza di un lavoratore al lavoratore stesso in un paese che conta circa 20.000 morti sul lavoro negli ultimi 10 anni.

È necessario evitare qualsiasi tipo di monitoraggio della prestazione lavorativa anche in deroga alle nuove disposizioni del Job Acts, vista la facilità con cui l’isolamento e la richiesta di prestazioni da parte del datore di lavoro allo smart worker rendono ancora più a rischio la serenità del lavoratore con questa modalità lavorativa. Anche in questo caso la legge sul telelavoro aveva definito parametri stringenti e precisi che potrebbero essere ripresi.

Ultimo, ma non per questo meno importante è l’argomento risparmio dei costi e riconoscimento economico. Vero che alcuni smart worker (ma non tutti) possono vantare un risparmio di costi legato al fatto che non devono spostarsi verso la propria sede di lavoro, che non devono mangiare fuori casa ecc.

Ma i risparmi per le aziende sono molto più significativi:

  • riduzione utilizzo spazi per il lavoro

  • riduzioni sedi di lavoro

  • fornitura dispositivi di sicurezza e protezione

  • utilizzo riscaldamento e condizionamento

  • utilizzo linee telefoniche e wi fi

  • ergonomia delle postazioni

  • mancato riconoscimento buoni pasto

Vero è che sono state presentate in parlamento delle riforme di legge finalizzate a modificare in parte le norme sul lavoro agile proprio su questo argomento introducendo dei crediti di imposta ai lavoratori agili per gestire le eventuali spese sostenute a casa.

Ma trasferire un costo aziendale alla fiscalità generale, quando si potrebbe pretendere una socializzazione degli utili provenienti dal risparmio dei costi derivante da queste nuove modalità lavorative, la riteniamo una strada sbagliata.

Chiediamo quindi alla FISAC che quanto prima si riprenda a contrattare una modalità di lavoro che sia davvero smart e non solo piegata agli interessi della controparte, come d’altronde già successo in categoria con il contratto ibrido.

Comportamenti Anti Sindacali delle Aziende

A corollario di questo argomento ma sempre ben incardinato nelle premesse non possiamo non notare da parte aziendale un applicazione dei protocolli di categoria legati al rischio covid 19 strumentale e spesso disallineati gli uni dagli altri e dove la nostra organizzazione pecca per silenzio e subalternità.

Ci sono i ricorsi alle ASL ed alle Procure per imporre alle Aziende comportamenti più allineati rispetto alle disposizioni di legge, ricorsi che intercettano solo una parte dei comportamenti difformi che le controparti mettono in atto.

C’è ancora l’eco del comportamento antisindacale di Intesa Sanpaolo sancito in primo grado dal giudice di Imperia per non aver convocato i comitati territoriali previsti dai protocolli confederali ma non dai protocolli di categoria, comitati convocati in modalità farsa, senza l’unitarietà sempre richiesta anche dalla nostra organizzazione con un comportamento che dovrebbe essere stigmatizzato anche dalle segreterie sia di Gruppo che Nazionali con un iniziativa che esca dal singolo territorio e coinvolga l’intera banca, le sue RSA e gli RLS competenti.

E come dicevamo nel capitolo precedente c’è un problema di socializzazione dei lavoratori e condivisione delle condizioni lavorative che è esploso con le assemblee dei congressi aziendali svoltesi in queste settimane.

Giudichiamo il verbale di Riunione del 21/12/2020 e poi successivamente aggiornato estremamente debole per molti motivi, tra cui l’aver concesso alle aziende di utilizzare propria piattaforma informatica senza possibilità di verificare la privacy dei partecipanti e la possibile richiesta preventiva da parte aziendale dell’eventuale partecipazione dei lavoratori all’assemblea.

Ma l’elemento negativo che esploso in queste ultime settimane è l’interpretazione dell’accordo di alcune aziende tra cui Unicredit per cui l’assemblea da remoto è l’unica modalità possibile di svolgimento di assemblee di lavoratori almeno fino al 30/09/2021.

Le premesse dell’accordo recitano:

“in particolare, tenuto conto del divieto di assembramenti correlato all’emergenza Covid-19, le Parti hanno concordato di valutare, nell’ambito dell’Osservatorio nazionale paritetico previsto all’art. 8 dell’Accordo 25 febbraio 2019 in materia di libertà sindacali, l’adozione di eventuali soluzioni a titolo sperimentale per lo svolgimento “in remoto” di assemblee del personale anche con attenzione alle lavoratrici e ai lavoratori in lavoro agile, nel rispetto della attuale regolamentazione”.

Pur avendo convocato assemblee nel rispetto delle normative vigenti, nel rispetto della distanza interpersonale, nel rispetto dell’igienizzazione ed evitando assembramenti fuori sede di lavoro ed in Camera del Lavoro, in sale regolarmente utilizzate da altre categorie CGIL, Unicredit ha rifiutato la convocazione sostenendo che l’unica modalità è quella online mentre altre banche, tra cui BPM, hanno regolarmente accettato la convocazione in tale modalità.

Riteniamo compito della Segreteria Nazionale FISAC intervenire sulla Segreteria di Gruppo per richiedere un pronto intervento per impedire questa limitazione dei diritti democratici dei lavoratori e questa chiara strategia portata avanti da Unicredit e dagli altri istituti di isolare sempre più i lavoratori per renderli collettivamente inermi. Ne va dei diritti democratici dei lavoratori e di tutti noi.