Piano Industriale 22-25 Intesa Sanpaolo: sono finite le lacrime

di Giorgio Passino – Segretario Fisac CGIL Imperia

Ho atteso i commenti delle principali organizzazioni sindacali, compresa la mia, sul piano industriale di Intesa Sanpaolo prima di dare una valutazione più compiuta.

Non entro nel merito dei commenti di questa o di quella sigla, tutte orientate ad un atteggiamento sostanzialmente neutrale verso Intesa, speriamo dovuto sia alla mancanza di alcuni dati fondamentali, sia alla prudenza prima di un riscontro oggettivo dei dati con la controparte.

Ma non facendo parte di alcuna delegazione trattante, facendo parte del settore da quasi 30 anni e osservando i processi attuali come un continuum degli ultimi 15 anni dal mio osservatorio di sindacalista di prossimità, posso fare una valutazione politica del piano industriale in quanto strumento che avrà un peso per il futuro di tutto il settore.

Cominciamo con le cose dette.

Nell’esaltazione collettiva della sua proiezione fintech e quindi delle magiche parole digitale, big data, AI, che basta metterle assieme che già ci si sente più fighi, la banca fa una serie di annunci a mio parere devastanti:

  1. trasferimento di oltre 4 milioni di clienti ritenuti a basso valore aggiunto ad una banca pseudo digitale (con gli sportelli sostituiti sostanzialmente da tabacchini, bar ed edicole).
  2. La chiusura del 45% delle agenzie in 4 anni e tre mesi con la dichiarazione di 9200 esuberi da consumarsi principalmente in rete e nelle strutture di staff alla rete compensate da 4600 assunzioni in settori completamente differenti.
  3. La definitiva capitolazione della rete di dipendenti bancari, già sotto pressioni da lavoratori o con stipendi meno pesanti (ibridi, partite IVA) o da professionisti pagati a provvigione su fascia di clientela ricca e quindi con un cost/income più basso (promotori finanziari), ed ora falcidiate dalla mannaia degli esuberi. Il rapporto di sostituzione in rete sarà molto probabilmente di 1 a 3 o 1 a 4.

Sui crediti la volontà di NPL uguale a zero è una chiara dichiarazione di intenti rispetto alle aspettative dell’economia domestica. I crediti alla clientela dal 2020 al 2021, nonostante un anno che dichiara una crescita economica come non si vedeva da anni sono cresciuti di meno dell’1% (da 461 mld a 465) con un significativo aumento del MLT a consolidamento dei fidi a breve. Un chiaro abbandono dell’economia reale.

In questo progetto non c’è nessuna proiezione di crescita netta su una base clienti tradizionali; si cedono clienti già della banca al digitale ma non si chiede alla rete di sostituirli con piani di acquisizione a discapito di altre banche o reti finanziarie.

Il progetto è finalizzato a distruggere lavoro dipendente, e quindi a distruggere diritti acquisiti, salari dignitosi, sicurezza del posto di lavoro, certezza delle retribuzioni cedendo il rischio di impresa sulle spalle dei nuovi lavoratori che si troveranno a lavorare a cottimo per un solo committente.

Altri 4600 posti di lavoro dipendente scompariranno per sempre se le OO.SS. continueranno ad accettare questa logica di ristrutturazione desertificando sempre di più l’occupazione stabile in territori che vivono già da anni con difficoltà questo smantellamento del lavoro dipendente privato.

E qua non c’è nulla di ineluttabile, c’è una chiara scelta manageriale di diffondere a grandi gestori di fondi internazionali 22 miliardi di euro di cassa riducendo strutturalmente gli investimenti nelle donne e negli uomini che vivono in questo paese.

La tecnologia, lo ripeto fino alla nausea non è mai pro o contro il lavoro, può essere uno strumento potentissimo di miglioramento delle condizioni di vita, ma usato in una Società orientata esclusivamente al profitto può diventare uno strumento di distruzione di intere comunità e territori.

Ed arriviamo al non detto

Quando una Banca orienta 4 milioni di clienti a bassa redditività verso la banca digitale non solo la stessa vuole eliminare della buona occupazione, ma tira una riga chiara ma con implicazioni sociali tra i clienti perdendo completamente quella valenza comunitaria che si dichiarava fino a qualche anno fa.

E tutte le iniziative di social ed ambient impact sono solo un’illusione a copertura di una discriminazione economica/sociale sempre più ampia anche perché spesso i clienti con meno possibilità economiche sono anche quelli meno digitalizzati e con meno strumenti di conoscenza e che andrebbero quindi seguiti e formati.

Un piano di impresa che è perfettamente incardinato nelle logiche neoliberiste degli ultimi 30 anni e che delinea politicamente e socialmente chiunque lo appoggerà.