IL TEMPO REALE ED IL TEMPO APPARENTE – l’equazione del tempo (ed il suo rapporto con il lavoro)

A volersi cimentare nel comprendere come si sviluppa l’equazione del tempo, si troverà in qualsiasi testo di astronomia che il tempo è definito come tempo reale e tempo apparente.

Questa suddivisione deriva dal fatto che la misura che noi facciamo del tempo quotidianamente con il nostro orologio (tempo apparente) è in realtà diversa dal tempo impiegato dalla terra per compiere il proprio moto di rotazione (tempo reale): trattasi di uno scarto collegato al fatto che la terra non impiega 24 ore per compiere la propria rotazione ma 23 ore, 56 minuti e 4,09 secondi. Ecco allora la scelta di introdurre una correzione al tempo apparente con l’aggiunta di un giorno ogni 4 anni per riallinearlo al valore del tempo reale.

Queste considerazioni apparentemente teoriche sul tempo, ci possono essere di aiuto per avvicinarci per similitudine ad alcune considerazioni sulla relazione tra tempo e lavoro.

Ogni contratto di lavoro si basa ponendo in stretta relazione 4 elementi fondamentali: la prestazione lavorativa, le sue modalità di erogazione (diritti e doveri delle parti), il tempo per la sua esecuzione ed il salario riconosciuto. Il termine “tempo” è, quindi, uno degli elementi portanti.

Il punto di partenza della riflessione è una domanda: quanto tempo della nostra vita è condizionato dal lavoro?

Se si pensa al tempo dedicato ai trasferimenti dal e verso il posto di lavoro, al tempo aggiuntivo richiesto per lo svolgimento di ulteriore prestazione lavorativa (lavoro straordinario o supplementare), all’applicazione di turni che condizionano il tempo della vita privata (fenomeno già in essere nelle c.d. “banche on line”, nei call center e nei centri elaborazione dati e molto probabilmente destinato a espandersi con l’evoluzione delle banche virtuali), al tempo richiesto per la reperibilità, al tempo occupato dalle trasferte, la risposta richiede (ancora una volta) tempo per un calcolo esatto.

Dal risultato di questo calcolo, per quanto approssimativo, potremmo scoprire che il tempo assorbito è di gran lunga maggiore delle 37,5 ore settimanali (o 40 ore per altri contratti).

Si arriva quindi facilmente all’affermazione che il “tempo di lavoro” (tempo apparente) non coincide mai con “tempo dedicato al lavoro” (tempo reale) ed il loro saldo, è per definizione, negativo.

Il problema è: quanto negativo?

Una ulteriore definizione associabile al tempo dedicato al lavoro è che quest’ultimo è sempre necessario e subordinato a creare le “condizioni esterne” perché il tempo di lavoro abbia luogo. Una subordinazione, questa, non opzionale ma obbligatoria.

Di più: quanta preoccupazione desta l’ipotesi di un trasferimento o di un distacco presso una sede diversa dalla propria o di un cambio di turno non pianificato, se questo può comportare la ridefinizione della gestione del proprio tempo personale (e non solo il proprio) per riversarlo in quello da dedicare al lavoro?

Questa preoccupazione si basa su un elemento concreto ossia il fattore di “rischio di incremento del tempo dedicato al lavoro” che presenta una probabilità di verificarsi molto più alta del “rischio di incremento del tempo di lavoro”.

In effetti, l’incremento del tempo dedicato al lavoro produce – sotto molteplici punti di vista – conseguenze molto più onerose per il lavoratore rispetto all’incremento del tempo di lavoro.

Ne deriva, quindi, che l’attuale l’equazione prestazione-modalità-tempo-salario va completamente reinterpretata in quanto il salario – contrattato originariamente per ripagare il tempo di lavoro (tempo apparente) – ripaga anche il tempo necessario a crearlo ossiail tempo dedicato al lavoro (tempo reale). Di conseguenza l’equazione:

Σ(prestazione, modalità, tempo, salario)=0

è falsa poiché la variabile tempo presenta un valore molto più grande di quanto lo si consideri nel momento della negoziazione.

Per altro, le misure del tempo reale e del tempo apparente sono riallineate da interventi correttivi sempre ed in ogni caso a carico della lavoratrice (l’utilizzo del genere femminile in questa frase è assolutamente voluto perché trattasi del più classico e frequente caso di analisi delle politiche di genere): in termini comparativi, come ogni 4 anni si aggiunge un giorno alla durata dell’anno solare, così la lavoratrice deve produrre tempo per incrementare il tempo da dedicare al lavoro ma con la semplice differenza che il correttivo deve essere applicato tutti i giorni.

Come riequilibrare l’equazione?

Intervenendo sulla variabile modalità magari lungo due direttrici.

La prima direttrice consiste nel ridurre il differenziale tra tempo di lavoro e tempo dedicato al lavoro:

  1. riducendo l’orario di lavoro a parità di salario
  2. stabilizzando la programmazione dei turni di lavoro con comunicazione anticipata (6 mesi) e relativa durata degli stessi (6 mesi)
  3. introducendo per i trasferimenti o distacchi il consenso del/la lavoratore/trice come vincolante anche per coloro che:
  1. abbiano certificato i termini di cui alla Legge 104/92 all’art. 3 commi 1 e 2 (si ricorda che coloro che rientrano nel comma 3 non possono essere oggetto di trasferimento senza loro consenso)
  2. abbiano certificato una invalidità civile superiore ad una certa misura
  3. abbiano minori presenti in famiglia con età inferiore ad una certa misura
  4. che il consenso sia richiesto oltre una certa distanza tra dimora abituale e nuovo luogo di lavoro calcolata in tempo (e non in chilometri)
  5. che alle stesse condizioni di cui sopra il part time sia assegnato e non concesso.

La seconda direttrice consiste nello spostare il fattore correttivo, per allineare tempo di lavoro e tempo dedicato al lavoro, in capo all’azienda:

  1. incrementare gli organici (altro che riduzione dell’occupazione nel settore!) per distribuire il carico organizzativo su una platea più ampia
  2. incrementare il numero di permessi retribuiti con causali utili a sostenere i tempi di vita (inserimento figli a scuola, cura figli e/o parenti disabili)
  3. compensare i turni di lavoro che hanno luogo nei periodi più sfavorevoli della giornata (p.es. quando il turno termina dopo le 20) con riduzione dell’orario di lavoro secondo fasce crescenti a parità di salario.

Non va inoltre dimenticato che il tempo di lavoro (il tempo apparente) va sempre e comunque tracciato: il fenomeno ormai acclarato del lavoro straordinario non retribuito deve essere azzerato definitivamente e l’equazione deve trovare soluzione anche in questo caso.

Si può concludere questa breve riflessione con una semplice osservazione sulle caratteristiche del tempo dedicato al lavoro: provate a chiedere ad una lavoratrice con problematiche familiari se il tempo reale corre alla stessa velocità del tempo apparente. Vi dirà, con assoluta certezza, che corre molto più velocemente.

Questo ci trasporta ad una analisi comparativa con la teoria della relatività generale.

Ma questa è un’altra storia.