Banca Carige

I disastri dei manager li pagano i soliti noti

Se vogliamo fissare un’origine di ciò che i dipendenti stanno vivendo
da 5 anni a questa parte bisogna risalire al 2013 in cui per la prima
volta la banca presenta un bilancio in perdita (e finora non ne ha più
presentato uno in attivo). Prima di quella data, nel quinquennio
precedente, Carige aveva distribuito dividendi che si aggiravano sui
200 milioni di euro annui per un totale di circa un miliardo di euro a
cui vanno aggiunte le svariate immissioni di denaro per risanare le
due compagnie assicurative Carige ramo danni e ramo vita. Insomma
quasi due miliardi di euro usciti definitivamente dalle aziende del
Gruppo proprio nel momento in cui le altre aziende di credito
accantonavano somme significative per far fronte ai crediti
deteriorati.

Una semplice ispezione di Banca Italia, crollato l’impero
del Governatore Fazio, grande amico del deus ex machina ex Presidente
Berneschi ora condannato a 8 anni per vari reati ma ancora mattatore
nelle Tv private locali, rivela la verità e cioè nessun accantonamento
per i crediti deteriorati e qualche dato gonfiato qui e là.  Morale un
buco da 1500 milioni di euro che affonda la banca. Il primo AD Montani
fa due aumenti di capitale e tenta di vendere la  banca a BPM poi
finita con Banco Popolare; non riuscendoci tenta con un Fondo
americano di nome Apollo a cui nel frattempo ha venduto le compagnie
assicurative sempre in perdita. Ciò non piace al subentrato azionista
di maggioranza Malacalza (un imprenditore dei Superconduttori che non
sa assolutamente nulla di banche e che nel 2015 era appena reduce
dall’aver vinto una causa contro Tronchetti Provera che gli aveva
fruttato circa 300 milioni di benefit) e ne decreta la fine. Con
Innocenzi, arrivato a settembre 2018, sono 4 AD in 5 anni,  e 5-6
Piani industriali ( un altro si prefigura entro fine febbraio 2019) da
cui sono derivati due accordi sindacali emergenziali che hanno creato
la seguente situazione per i lavoratori: dal 30 giugno 2012 al 30
giugno 2018 il costo del lavoro è sceso di oltre il 30% nonostante che
il continuo cambio dei vertici, con il conseguente spoil sistem,
abbiano pesato non poco su questi dati. Inoltre c’è stato il solito
aumento vertiginoso di spese amministrative e spese per consulenze
tipico di queste situazioni. Per quanto riguarda i sacrifici dei
dipendenti si può dire che si è riusciti a fare buoni accordi ma certo
si sono fatte le giornate di solidarietà e altre 14 sono previste a
reddito zero (7 nel 2019 e 7 nel 2020), abbiamo attivato il Fondo
esuberi e da 4800 dipendenti (ora 4300) si passerà a 3700 entro la
fine dell’anno, chiusure di agenzie e cessioni di rami d’azienda che
hanno coinvolto 187 lavoratrici e lavoratori. Dopo innumerevoli litigi
e cause legali tra gli azionisti e tre aumenti di capitale per un
totale di oltre due miliardi, si giunge al 22 dicembre 2018 giorno
dell’assemblea degli azionisti che dovrebbe deliberare l’ennesimo
aumento di capitale per far fronte ai parametri fissati dalla Bce. Ci
vogliono 400 milioni che Innocenzi si è in parte procurato mediante
l’emissione di un Bond per 320 milioni al 16% (sic!!!) che costa 51
milioni di euro d’interesse l’anno, 150 mila euro al giorno,
sottoscritto dalle principali banche italiane.  Nel frattempo il
valore di borsa è arrivato a soli 73 milioni. Malacalza non vuole più
mettere altri soldi ed è spalleggiato dai piccoli azionisti. Vogliono
“vedere le carte” e pensano di avere ancora tempo. La BCE commissaria
la banca il 2 gennaio 2019 ed i tre commissari sono il precedente
Presidente Modiano, il precedente AD Innocenzi ed il liquidatore Lener
dando quindi fiducia ai “tecnici” interni e sfiducia all’azionista.
Caos tra i clienti già provati da anni di gossip giornalistici e
necessità di nuova liquidità per cui si fa ricorso al ministro
dell’Economia Tria ed ad un decreto che autorizza la banca ad emettere
bond garantiti dallo Stato (avverrà nei prossimi giorni) ed ultima
ratio partecipazione azionaria dello Stato tipo MPS ma tutti lo
escludono tranne il Vice Premier Di Maio. Vendita degli Utp per un
miliardo e 800 milioni a società primaria e nuovo piano industriale
saranno le prossime mosse. Forse anche un nuovo tentativo di aumento
di capitale con scopo ultimo aggregazione entro l’anno 2019.
L’incontro dell’8 gennaio tra i Segretari Generali di tutte le sigle
sindacali e i Commissari con la presenza dei responsabili del Gruppo
(cui fa seguito un volantino unitario ed un comunicato stampa della
Fisac) è stato un classico, pieno di rassicurazioni e positività per
il futuro. Nessun accordo preventivo e si fa finta di credere che ai
lavoratori non succederà nulla quando si sa perfettamente che il
lavoro sporco tenterà di farlo l’acquirente.  Fortunatamente da tempo
in Liguria ci sono ottimi rapporti con la Cgil locale e regionale
(sono stati già emessi due comunicati stampa con espressioni di una
posizione più determinata e originale) e ci prepariamo all’inevitabile
scontro.
D’altra parte bisogna ampliare le sensibilità a tutto il territorio
nazionale dato che il Gruppo Carige ha filiali e lavoratori in Val
d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana (dove ci
sono circa 500 lavoratrici e lavoratori), Sardegna, Lazio, Umbria,
Marche, Puglia e Sicilia per un totale di quasi 1500 dipendenti.
Tutti hanno la legittima convinzione di aver pagato, in termini di
retribuzione e di condizioni di lavoro, il prezzo più alto per
responsabilità che risiedono altrove. E’ ora di dire basta ad una
riorganizzazione che vede nei dipendenti il principale, se non unico,
obiettivo. La motivazione dei dipendenti ha subito colpi durissimi e
se non siamo in grado di valutare quanto si sia lavorato per buttare
via l’acqua sporca siamo convinti che si sia buttato via il bambino.