Agor@ e le sue proposte – una prima serie di considerazioni

Abbiamo scritto nel precedente documento che il settore bancario è nel pieno del vortice di un’ulteriore ristrutturazione finanziaria iniziata ormai da oltre 15 anni. A nostro parere, la stessa cosa sta accadendo anche nel settore assicurativo, trainato in parte dalle scelte degli enti creditizi. 

È evidente che l’”evoluzione” dei due settori non poteva che essere questa, in un mondo dove le aziende sopravvivono soltanto se diventano dei colossi per competere in un mercato globale; ma è altrettanto evidente che quanto accade non è un processo scontato o naturale. È il frutto delle scelte dei vari Consigli di Amministrazione, tradotte nei Piani Industriali, della mancanza di regole d’indirizzo economico ovvero dell’esistenza di regole che spingono nella direzione richiesta dalle grandi banche, della volontà del raggiungimento del massimo profitto a tutti i costi, del sostanziale, progressivo abbandono dell’intermediazione creditizia e della sostituzione dell’attività tradizionale sul territorio con la cosiddetta industrializzazione del credito e dell’incapacità del Sindacato di opporre una linea diversa, quantomeno rispettosa del dettato costituzionale.

Inoltre, la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale, utilizzate per il raggiungimento dell’obiettivo di remunerazione dell’azionista, stanno producendo l’effetto moltiplicatore dei danni derivati dalle suddette scelte e dei vantaggi per gli azionisti in termini di ritorni economici.

Mentre gli utili diventano stellari, il salario reale negli ultimi 20 anni ha avuto un vero e proprio tracollo, neppure minimamente compensato da conquiste normative. Ormai la contrattazione è unicamente difensiva.

È davvero immutabile questo percorso?

A leggere il Piano Industriale di Intesa ed il silenzio di cui è circondato, parrebbe proprio di sì. Eppure, siamo di fronte ad un’ulteriore destrutturazione del sistema creditizio attraverso lo spostamento di 4 milioni di clienti definiti a basso valore aggiunto verso una banca pseudo digitale, la chiusura del 45% degli sportelli in 4 anni, 9200 esuberi nella rete compensati dal 50% di assunzioni destinate in gran parte a non coprire i ruoli in uscita, ma ad incrementare contratti di lavoro autonomo, con l’unica finalità della vendita di prodotti finanziari.

Cosa sono questi numeri se non la scelta di abbandonare interi territori, marginalizzare il sostegno all’economia cedendo clienti a tabaccai, bar ed edicole, attaccare l’esistenza stessa del lavoro dipendente e la sua remunerazione e tutto questo per centrare l’obiettivo di devolvere ai gestori dei grandi fondi d’investimento circa 22 miliardi di euro, invece di reinvestire nel Paese?

E se il più grande gruppo bancario si muove in questo senso, gli altri non saranno da meno.

Eppure, abbiamo sotto gli occhi un’esperienza quantomeno diversa cioè quella delle BCC. Con tutti i limiti per i lavoratori che si possono evidenziare, a partire dai diritti, meno esigibili rispetto alle banche di grandi dimensioni, la maggior parte dei risultati derivano ancora dall’attività creditizia tradizionale, nonostante le ferree regole dettate dalla Bce e tarate sui grandi gruppi. Tale operatività è data dalle tutele statutarie che, con i loro principi di mutualità e vincoli sociali permettono a tali banche di non piegarsi alle pure logiche di mercato. La conoscenza del territorio permette di agire sugli “scarti” dei grandi gruppi (clienti e sportelli abbandonati) ed anche grazie a questa attività le BCC stanno vivendo un periodo positivo.

La riforma del 2016 che ha imposto le fusioni e la creazione di uno o più gruppi bancari anche sotto forma di Spa sta trasformando questa isola felice. Iniziano anche qui ad intravedersi le prime cessioni di rami d’azienda come il settore back office o l’acquiring. Il tutto in un’ottica concentrata principalmente sul taglio dei costi: scelta che ricade pesantemente sui lavoratori.

Riteniamo che il prossimo rinnovo del Ccnl debba puntare proprio al rafforzamento delle tutele delle lavoratrici e dei lavoratori, ad un maggiore riconoscimento economico ed un allineamento al rialzo del salario e dei diritti tra questo contratto ed il contratto ABI, come segno del potenziale dell’attività bancaria tradizionale e consulenziale, in contrapposizione all’attività commerciale che è priva di connessione con il territorio di riferimento.

Il settore assicurativo, è un settore molto articolato che va dall’ Appalto assicurativo, sotto scacco da anni per l’applicazione di un contratto pirata che grida vendetta e composto da piccole agenzie dove i diritti del lavoro sono calpestati, ad Alleanza, dove si applica un contratto al ribasso e dove l’impegno sindacale all’integrazione nel contratto Ania è stato volutamente dimenticato, ad Anagina, ad Unipol, ad Ania. Sotto l’egida della digitalizzazione si punta al massimo profitto, si cambiano i canali distributivi, agevolati da una digitalizzazione che ha trovato spazio prima e più velocemente rispetto al settore bancario, si licenziano gli addetti del contact center (la vicenda Verti è emblematica), si esternalizza quello che contrattualmente non è ammesso, come sta accadendo in Zurich e si continuano a chiudere sedi decentrate (vedasi di nuovo Alleanza), ma non si intravede nessuna volontà sindacale di riunificare tutta la filiera in un unico Ccnl.

Stiamo parlando della trasformazione di settori strategici per l’economia del Paese e che oggi più che mai, tra Covid, guerra, aumento esponenziale del costo delle materie prime e loro scarsità e ripresa dell’inflazione, necessiterebbero di un ruolo d’indirizzo dello Stato e per quanto riguarda il Credito, di una banca realmente pubblica, capace di guardare nuovamente all’attività tradizionale e che funzioni da riferimento per l’intero settore. 

Dovremmo avere la capacità di opporre al mutamento dei settori il nostro punto di vista a difesa dei lavoratori.

È impensabile rincorrere i problemi se non si agisce sulla causa.

Orari di lavoro senza più limiti, pressioni commerciali in continuo peggioramento, esternalizzazioni di lavorazioni e acquisizioni, assenza di un sistema inquadramentale degno di questo nome, riduzione di sportelli e di addetti, riduzione del lavoro dipendente a vantaggio di quello autonomo ecc. ecc., sono il portato del modello di banca oggi vigente. O si incide su quel modello o i lavoratorə sono destinati a convivere con quell’ansia, quello stress che oggi contraddistingue il lavoro in banca.

E poi c’è lo smart working. Se si lasciano i coordinamenti liberi di fare accordi su questo tema, senza una cornice di riferimento nazionale plausibile (quella presente nel ccnl non è neanche da citare) in cui immettere vincoli normativi adeguati e garanzie sulla salute e sicurezza dei lavoratorə, si lasciano libere le Aziende di fare dumping economico e se non si fa l’accordo nazionale sostenuto da garanzie sulle agibilità sindacali, si rischia di perdere ogni possibilità di rappresentanza di migliaia di lavoratori.

Occorre un’attività sindacale al passo con i tempi, sostenuta da un nuovo gruppo dirigente capace di interloquire con i lavoratori e di modificare l’evoluzione dei settori imposta dalle grandi Aziende.