SALUTE E SICUREZZA, OVVERO LE ISTANZE ABBANDONATE

L’epilogo della trattativa sullo smart working nel Gruppo Intesa Sanpaolo, terminato con un nulla di fatto e con l’azienda che il giorno dopo si è mossa come ha voluto (per giunta, incassando il plauso dell’opinione pubblica!), impone una riflessione circa le strategie da seguire per garantire il massimo risultato possibile in favore delle lavoratrici e dei lavoratori del settore bancario.

Dobbiamo iniziare prima di tutto ad ammettere gli errori fatti: non con intento autoassolutorio, ma con la determinata volontà di correggerli e di consentire di riguadagnare almeno in parte il tanto terreno perso di fronte ad una controparte sempre più forte, arrogante e autoritaria, sempre più spesso sprezzante delle leggi.

Un terreno sinora lasciato del tutto non presidiato (in quanto si è affidata ogni premazia alle presunte virtù salvifiche di una contrattazione continua ma sempre più a perdere) è quello del salvaguardare il diritto alla salute psicofisica delle lavoratrici e dei lavoratori abbinando alla lotta sindacale (da rilanciare con mobilitazioni e scioperi veri e reiterati) un netto aumento del ricorso delle ASL e delle Procure, attività quest’ultima da mettere in campo con pari dignità e impegno profuso rispetto alla contrattazione.

E’ fondamentale che le attività di contrasto tramite esposti siano coordinate a cura della Segreteria Nazionale e dei Coordinamenti Aziendali, di concerto e gomito a gomito con i Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza, che in questi ultimi anni di pandemia hanno potuto misurare quanto spesso sia spregiudicata, amorale e furbamente elusiva delle norme di legge la gestione in banca della tutela di salute e la sicurezza. Può essere molto utile coinvolgere anche le locali Camere del Lavoro, perché il tema Salute e Sicurezza tocca tutte le categorie, e certi passaggi è bene siano fatti in raccordo con tali strutture (es. invio pec alle Prefetture): sia per dare ad una giusta lotta il visibile e pesante contributo della Confederazione, sia per il ritorno positivo dato da una maggiore visibilità in caso di utilizzo successivo dei media. Considerato che contro la salute dei lavoratori e delle lavoratrici il reato più ricorrente pare essere l’omissione dolosa di cautele, anche la costituzione ad coadiuvandum negli eventuali giudizi delle Camere del Lavoro può essere veramente un elemento particolarmente qualificante e foriero di maggiori successi.

Siamo ormai consci di tutte le spregiudicate furberie messe in atto dalle aziende: ricorrente ad esempio il caso in cui, di fronte ad un verbale ASL o ordine della locale Procura, che costringa l’azienda a cambiare atteggiamento su un dato aspetto della prevenzione dai rischi, le aziende scelgano di attenersi alle indicazioni ricevute esclusivamente nei territori di stretta competenza dell’Autorità intervenuta, pur trattandosi sovente di mancanze diffuse a livello nazionale.

Un caso tipico di tale attività aziendale fortemente discriminatoria è l’inquadramento come videoterminalisti: dove interviene una autorità esterna si assiste ad un fiorire di questa tipologia di classificazione mentre, dove nessuno controlla, quasi nessun dipendente bancario è considerato tale dalle aziende: così diventano chimere le relative tutele.

Questo abituale vuoto di diritti, pur plateale e più volte venuto alla luce, ha purtroppo ricevuto un annoso e costante disinteresse da parte dei vertici dei sindacati, Fisac inclusa, preferendo sempre e solo i tavoli delle trattative. Questo atteggiamento ha purtroppo favorito il permanere di ampie praterie nelle quali le aziende continuano – quasi indisturbate – a reiterare pratiche scorrette, in un contesto caratterizzato da scarsità di controlli e dalla mancanza di coordinamento fra le varie Procure o ASL (che hanno giurisdizione solo sul loro ristretto territorio e non collaborano fra loro, facilitando così la vita a chi non rispetta le regole).

Questo terribile incrocio di vulnus ha di fatto consentito da un lato la totale e scaltra impunità aziendale (salvo cavarsela con pochi spiccioli in caso di contravvenzione) e dall’altro una situazione di grave disparità di trattamento fra piccoli gruppi di lavoratori, che godono di maggiori e dovute tutele, e la massa degli altri che continua ad esserne priva pur avendone diritto.

Se il tema venisse davvero preso in carico come prioritario dalla Fisac Nazionale e dai Coordinamenti aziendali, per garantire il diritto alla salute basterebbero chiare e coerenti direttive da impartire a tutte le strutture e soprattutto a RSA e RLS: è necessario organizzare in ogni territorio degli esposti alle Autorità, al fine di far emergere i comportamenti scorretti delle aziende e conseguentemente pretendere per tutte le lavoratrici e i lavoratori con pari tipo di attività l’allineamento delle tutele concesse nei territori già interessati da provvedimenti ASL. Il tutto sorretto e fiancheggiato da una incessante rivendicazione ai tavoli sindacali.

Accendere un faro collettivamente sui temi di Salute e Sicurezza può consentire anche di prendere di petto, e probabilmente risolvere, anche difficili questioni sulle quali le trattative non riescono a incidere: per esempio, per costringere ABI e aziende a venire a patti sullo smart working, sarebbe probabilmente molto fruttuoso far pesare il fatto che, se è vero come è vero che il lavoro domestico è per sua natura una occupazione nella quale si superano per forza di cose le 20 ore di adibizione settimanale al videoterminale, tutti coloro che effettuano home working dovrebbero essere tassativamente inquadrati come videoterminalisti. A maggior ragione in quanto, smart workers o meno, é ormai sempre più chiaro che in ambito bancario sono veramente eccezioni i lavoratori per i quali sia effettivamente dimostrabile (una volta utilizzati criteri di valutazione corretti) che trascorrano meno di 20 ore settimanali di fronte ai monitor dei pc.

Si tratta di una vera emergenza misconosciuta.

 

Essere videoterminalista comporta che è obbligo dell’azienda dotare il lavoratore di una postazione di lavoro a norma, che rispettando i criteri ergonomici non faciliti l’insorgenza di malattie causate da posture scorrette o affaticamento alla vista. Per esempio, i PC portatili non sono a norma per un uso abituale e continuativo, e già molte ASL si sono pronunciate in materia: ciononostante, le

aziende hanno continuato ad utilizzarli del tutto indisturbate, e addirittura nello smart working rimangono quasi sempre l’unica opzione che le banche, bontà loro, concedono ai propri dipendenti, a dispetto delle probabili patologie che ne verranno.

Inoltre, tutti i videoterminalisti devono essere immessi in programmi di visite periodiche, e fruire tassativamente di 15 minuti di pausa ogni due ore lavorate: altro diritto abitualmente leso senza sufficiente reazione dal sindacato, dato che i software che riempiono le agende elettroniche dei bancari non prevedono mai alcuna sosta durante l’intero orario di lavoro, a prescindere che l’utilizzatore sia videoterminalista o meno: anche volendo fermarsi, se hai il cliente davanti o al telefono, è del tutto evidente che non puoi rifiutarti di servirlo, ed il tuo diritto alla pausa va in fumo. Inoltre, è ancora del tutto assente dal dibattito e dalle rivendicazioni il diritto alla disconnessione, che in Paesi con norme più avanzate é già un abituale standard a tutela dell’equilibrio psicofisico delle persone.

Nella trattativa sullo smart working appena terminata senza esito nel Gruppo Intesa è circolata anche l’ipotesi di strappare all’azienda un contributo economico aziendale all’acquisto della postazione di lavoro domestica, spacciando tale tentativo (fallito) come una luminosa conquista.

Non è così. Tale opzione sarebbe un vero obbrobrio dal punto di vista sia sindacale che legale, dato che scaricherebbe sul lavoratore, senza alcun filtro, l’assunzione della valutazione di un rischio e della scelta delle attrezzature a sua disposizione, obblighi e rischi che in base al Testo Unico Salute e Sicurezza devono tassativamente restare a cura e carico economico aziendale. Attenzione quindi a non diventare più realisti del re, e finire per ignorare persino norme esistenti che, con un atteggiamento più conscio e responsabile, dovrebbero viceversa essere immediatamente e radicalmente agite.

La gestione delle tematiche di Salute e Sicurezza è spesso per le aziende un gran motivo di vanto e di pubblica esposizione di presunte eccellenze, ma i RLS ed il personale sanno bene quanto, sotto questa sottile patina scintillante e rassicurante, ci sia assai spesso la strenua attenzione al risparmio, costi quel che costi in termini di diritti alla salute, abitualmente lesi o ignorati.

La Fisac ha sperimentato con successo, in un passato rinnovo CCNL, la carta del rendere nota all’opinione pubblica la difficile situazione dei bancari ed il criticabile atteggiamento aziendale: considerate le tante opportunità offerte dalle vicende locali nelle quali le aziende vengono chiamate a rispondere del loro operato, e la costante tendenza a forzare le leggi per ottenere vantaggi economici di ogni tipo, anche con pratiche commerciali e pressioni del tutto scorrette, è ormai necessario per il prosieguo delle lotte sindacali avviare anche una campagna con la quale informare l’opinione pubblica delle tante forzature alle norme subite, sia a danno del personale che dell’utenza. Considerata la sensibilità ai rischi reputazionali da parte aziendale, si tratta di una opzione da esercitare senza esitazioni.

Last but not least, è ormai improcrastinabile affrontare con la dovuta decisione il mostro più crudele che rovina la vita dei bancari: tutti sanno che nel lavoro in banca esiste un enorme livello di stress, sempre più profondo e foriero di una vasta serie di conseguenze sulla salute. Assistere a un numero sempre crescente di dimissioni volontarie, anche senza un nuovo lavoro già sullo sfondo, è una prova del malessere insostenibile che regna nella nostra categoria, come l’endemico e sconvolgente ricorso agli psicofarmaci.

Gli accordi sinora raggiunti sul tema non hanno raggiunto lo scopo di alleviare le pesantissime e costanti pressioni commerciali in banca, che sono l’architrave dell’insopportabile tensione alla quale è esposto costantemente il personale: occorre rispondere a questa tragica emergenza organizzando e mettendo in atto, in stretta collaborazione coi RLS, ogni attività che costringa le aziende a tutelare l’equilibrio psicofisico dei suoi dipendenti.

In particolare, per ottemperare finalmente al dettato del Testo Unico Salute e Sicurezza, che impone ai datori di lavoro la piena osservanza di tutti i migliori standard per mitigare ogni rischio, anche in tema di salute psicologica, sarà necessario rivendicare ovunque, convintamente ed in modo coordinato, sia ai tavoli delle relazioni industriali che tramite i RLS, un sistema di rilevazione dello Stress Lavoro Correlato che sia realmente efficace e non un semplice specchietto per le allodole, come di fatto è ora, e che la rilevazione venga fatta ogni anno: può essere utile riprodurre ovunque la positiva esperienza della Fisac del Gruppo MPS, nel quale Segreteria e RLS insieme sono riusciti a imporre all’azienda un questionario che contiene finalmente efficaci domande, specificatamente progettate per far emergere lo stress in ambito bancario, e chiuso un accordo nel quale sono previste espressamente venti azioni di mitigazione concordate con il sindacato. Sarebbe importante acquisire la metodologia seguita e portarla a fattor comune, quale gold standard in categoria, anche acquistando a cura e spese della Fisac i diritti di un questionario efficace e con domande adatte a far emergere lo SLC, e adottare ovunque lo stesso schema virtuoso, erogando direttamente agli iscritti il questionario qualora le aziende fossero renitenti. I risultati, se mostreranno ciò che tutti già percepiscono come insopportabile, dovranno costituire la base per una vertenza da condurre anche tramite la mobilitazione del personale.

Infine, occorre aumentare e praticare davvero a tutti i livelli della Fisac la cultura della Salute e Sicurezza, al momento considerata figlia di un dio minore; un passaggio fondamentale sarà ingaggiare con ABI e nelle singole aziende una convinta lotta che possa portare alla piena applicazione della normativa UNI ISO 45003:2021, innovativo standard di eccellenza, che fornisce linee di indirizzo per la gestione del rischio psicosociale. Potrebbe costituire un vero punto di svolta per garantire a tutti i lavoratori e le lavoratrici del settore una permanenza al lavoro psicologicamente sostenibile, giusto diritto che oggi in molte realtà è solo un miraggio, senza che nessuno sembri veramente farsene carico. Non lasciamoli soli.