Che fare?

Una prima sintesi del mio programma

di Fabio Alfieri

Condividiamo la critica all’impianto neoliberista delle politiche governative che troviamo nel documento congressuale della Cgil  “Il Lavoro È”.

L’austerity imposta dall’Unione Europea -e condivisa dai Governi che si sono succeduti nel nostro Paese- impedisce una ripresa solida e aggrava la precarietà nel mondo del lavoro.

Bisognerebbe avere il coraggio di guardare ad altri Paesi come il Portogallo, dove l’assunzione di  politiche espansive ha esorcizzato la crisi ed ha creato un benessere diffuso.

La riduzione degli sportelli bancari, in Italia, lascia senza neanche un bancomat oltre 400 Comuni!

La riduzione degli addetti è sempre più pesante e chi rimane al lavoro lo fa in condizioni di stress (ieri) inimmaginabili. Meno addetti, normative sempre più vincolanti, continue ristrutturazioni, mancato rispetto di accordi sindacali, gerarchizzazione senza controlli con pressioni sullo svolgimento delle mansioni, uso intimidatorio dei richiami disciplinari, assenza di accordi nazionali che tutelino efficacemente dai fattori di stress (pressioni commerciali) e nuovi accordi aziendali che peggiorano la condizione lavorativa (accordo sugli inquadramenti in Banca Intesa e quello sul cosiddetto “ibrido”). Orario di lavoro che -di fatto- supera quello contrattuale. É a queste condizioni di peggioramento del lavoro che le banche stanno tornando a fare grandi utili.

In un Paese in cui il settore industriale è costituito in grande prevalenza da piccole imprese, l’abbandono dell’intermediazione creditizia rappresenta la conferma del venire meno del ruolo sociale della banca. È una politica miope, che lascia ampio spazio d’intervento alle “fin-tech”, capaci di erogare credito rapidamente pur in mancanza di una regolamentazione Europea e Nazionale.

Il settore sta dunque affrontando la digitalizzazione con la riduzione del costo del lavoro ed il peggioramento dei diritti dei lavoratori; ma anche con il radicale cambiamento del modello di banca e della prestazione lavorativa. Le nostre proposte sul modello di banca, predisposte in occasione dell’ultimo rinnovo contrattuale, sono state rapidamente abbandonate (lasciando ampio spazio all’azione datoriale) mentre -invece- sarebbe urgente recuperare quel lavoro ed aggiornarlo. 

Non possiamo non interrogarci sul tipo di ri-organizzazione sindacale di cui abbiamo bisogno per rappresentare efficacemente i lavoratori in “smart working”, pianificando ora il futuro in cui saranno la maggioranza.

Si sta tornando ad esternalizzare pesantemente le lavorazioni finanziarie. Siamo dunque in presenza di un settore che rischia una drammatica riduzione occupazionale. Diventa -pertanto- indifferibile lariduzione di orario a parità di salario come salvaguardia occupazionale, per evitare che il surplus produttivo e reddituale generato delle prossime ristrutturazioni permanga ad appannaggio di aziende ed azionisti.

La FISAC non ha superato i limiti già presenti all’inizio di questo mandato. Il ruolo decisionale del Comitato Direttivo e di indirizzo dell’Assemblea Generale spesso non sono stati rispettati. Incapacità di fare sintesi tra opinioni diverse ed emarginazione del pensiero dissenziente hanno impoverito la nostra capacità di dare risposta alle sfide di un quotidiano tanto complesso quanto articolato.

Dobbiamo comprendere -e realizzare- l’importanza della nostra rete valorizzando l’impegno e le capacità dei Segretari territoriali e dei nostri RR.SS.AA., che quotidianamente sono a contatto con i lavoratori. Purtroppo questi ruoli non sono stati, finora, supportati quanto avrebbero meritato. L’attuale accordo sulle libertà sindacali cristallizza questi limiti e promuove l’accentramento decisionale ed organizzativo nei gruppi aziendali.

Occorre tornare a politiche contrattuali acquisitive, recuperando il ruolo centrale della contrattazione nazionale.

Dobbiamo assumere nella contrattazione quanto è ormai assodato in letteratura: e cioè che lavorare in un ambiente positivo evita i fattori di stress e migliora la produttività. Siamo ben lontani da questo assunto, nonostante un accordo firmato in tema di pressioni commerciali che esiste sulla carta ma che non riesce a vivere nei luoghi di lavoro. Occorre un ruolo più forte degli RLS nell’organizzazione sindacale, affiancandoli alla contrattazione aziendale. Occorre utilizzare il questionario di Pisa sullo stress da lavoro correlato, ora “validato” a livello europeo ed unico specifico per il settore, in tutte le aziende ed in tutti i settori. Occorre obbligare le Aziende, che finora non hanno voluto comprendere l’importanza del benessere lavorativo, a garantirlo a tutti i lavoratori come previsto dalla legge. 

La digitalizzazione è un processo già in atto. Parliamo di contrattare l’algoritmo, di cabina di regia, di contrattazione d’anticipo ma nel frattempo non vogliamo vedere che la riduzione degli sportelli, del numero di addetti, la comparsa di agenzie completamente automatizzate e di banche on-line (totalmente virtuali)  sono già il risultato della digitalizzazione. È evidente che questo processo va governato -secondo una strategia di tutela del lavoro- e non può essere lasciato unicamente alla contrattazione aziendale. Il fenomeno investe l’intera categoria e saremmo perdenti se non coinvolgessimo tutti i lavoratori ed il complesso dei portatori di interessi (associazioni dei consumatori). Sarebbe miope non collegare ai rinnovi contrattuali la vertenza sulla digitalizzazione. Si rende necessaria una visione complessiva della contrattazione in scadenza, che ad oggi non c’è.

Inoltre, occorrerà procedere ad acquisizioni di salario in linea con il ritorno dell’utile di sistema. Va recuperato lo spirito della tutela sull’Area Contrattuale, che oggi è oggetto di attacco continuo. Va rigettata ogni possibilità di generalizzazione del cosiddetto “contratto ibrido”. E’ necessario darsi una politica univoca -e coerente- sugli inquadramenti, laddove oggi imperversa una babele di accordi aziendali in contraddizione fra loro.

Concludendo, ci attendono una stagione congressuale e contrattuale impegnative. È necessaria una profonda discontinuità. Deve essere sancita la fine degli accordi difensivi e di scambio. Occorre un atteggiamento diverso della FISAC, sia nei confronti delle controparti datoriali che delle altre organizzazioni sindacali. 

Dobbiamo dare voce al malumore che proviene dai lavoratori, interpretando i loro bisogni e declinandoli in soluzioni condivise. Imporre ai cittadini soluzioni dall’alto, senza curarsi del loro reale consenso, ha portato la sinistra storica al risultato elettorale che oggi conosciamo. Ci sia di monito nel nostro agire!

Chiediamo un Congresso vero, di confronto e di merito. Un Congresso “di palazzo” -per quanto ammantato dall’aura dell’unanimismo- non sarebbe per alcuno di nessuna utilità!