I ritardi delle banche e la confederalità

Non bisogna stancarsi mai di sottolineare la necessità di quanto sia importante il concorso di tutti i soggetti istituzionali e di rappresentanza per contribuire responsabilmente ad aiutare cittadini, imprese e famiglie nell’affrontare una situazione caratterizzata dalla tensione maturata durante la fase di lockdown e dalla paura delle incognite future nel riprendere le attività produttive e ritornare nei posti di lavoro.
Le risorse messe in campo dal Governo – dagli ammortizzatori sociali agli aiuti alle imprese sino al sostegno alle partite iva ed ai soggetti più deboli – hanno sempre avuto l’obiettivo di creare le migliori condizioni possibili di resilienza per questi soggetti e, in questo percorso, il sistema creditizio italiano è stato chiamato in campo ad operare in sinergia per il raggiungimento di tali obiettivi.
Con queste premesse, l’invito di alcuni gruppi bancari italiani ad utilizzare i finanziamenti dello Stato per estinguere posizioni debitorie aperte come dovrebbe essere valutato?
Oppure quale potrebbe essere la reazione di fronte alle disposizioni emanate dagli stessi istituti che alterano le modalità per l’acceso ai finanziamenti pubblici inserendo richieste di informazioni e/o vincoli di erogazione non previsti dalle procedure governative?
Una situazione che, senza dubbio, avrebbe dovuto vedere immediatamente schierate le Organizzazioni Sindacali di categoria – e senza dubbio la FISAC CGIL – di fronte all’Associazione Bancaria Italiana nel richiamare le responsabilità delle banche al proprio ruolo: un servizio essenziale a scopo sociale.
E, partendo dalla denuncia di comportamenti scorretti da parte di quegli istituti, si sarebbe dovuto finalmente rappresentare e tutelare tutti quei soggetti travolti dagli effetti della pandemia che compongono il tessuto sociale ora più debole del nostro Paese.
Ma la scelta è andata in un’altra direzione ed i Segretari Generali delle Organizzazioni Sindacali di categoria hanno scelto di diramare un esposto a tutte le Procure della Repubblica in Italia informando contestualmente il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, per denunciare il crescente e inaccettabile clima di odio contro il settore bancario e, in particolare, verso la categoria delle lavoratrici e dei lavoratori delle banche a causa dei ritardi e delle difficoltà con cui vengono erogati i prestiti, concludendo che se ci “scapperà” il morto, la colpa sarà sia di chi ha contribuito a scatenare questo clima d’odio sia di chi fa cattiva informazione».
Alcune considerazioni sono ineludibili e molto preoccupanti.
La FISAC CGIL ha scelto di non denunciare le cause tutte interne alle politiche decise dalle banche e, per questa via, ha rinunciato ad unificare il valore del lavoro dei dipendenti bancari con l’importanza del sostegno a coloro che richiedevano di accedere agli aiuti, per altro finanziati dalla fiscalità generale e quindi dalle risorse che arrivano dai contribuenti.
Ha scelto di utilizzare una modalità che, alla luce anche dei termini e dei toni utilizzati, avrà come conseguenza quella di creare una maggiore divisione tra coloro che lavorano in banca – e non hanno mai smesso di farlo dall’inizio dell’epidemia – e coloro che in banca ci vanno – in questo caso si può dire – per necessità. Insomma per dividere e non per unire il Paese.
Ha scelto di operare secondo una logica più ristretta e caratteristica del sindacalismo autonomo a cui non appartiene la visione d’insieme del lavoro e del Paese.
La FISAC CGIL ha rinunciato ad utilizzare il vero ed unico vaccino oggi disponibile sul mercato e di cui la CGIL è sempre stata promotrice: la Confederalità.