IL SENSO DELLA CONFEDERALITÀ AI TEMPI DEL COVID-19

 

Lettera aperta

 

21 APRILE 2020

Con l’avvento della pandemia a livello mondiale da COVID-19 il nostro presente – ma soprattutto il nostro futuro – si pone di fronte a noi con tutte le sue incognite e, quindi, ci preoccupa fortemente perché non esistono strumenti preconfezionati che ci possano aiutare per costruire soluzioni o percorsi di uscita certi.

Se esiste una formula che, come CGIL, abbiamo continuato pervicacemente a suggerire in ogni sede e ad ogni livello di analisi e di interlocuzione, essa coincide con il valore più alto del bene e della salute collettiva: si potesse esprimere il concetto in sintesi potremo dire che il nostro agire si basa sulla profonda convinzione che nessuno riesce realmente ad arrivare alla meta se non ci arrivano tutti. Al nostro interno questo modo di pensare ed agire si traduce in confederalità.

Questa riflessione aperta tenta di recuperare questo spirito anche alla luce dei risultati e degli accordi siglati all’interno della categoria delle lavoratrici e lavoratori bancari a cura della Segreteria Nazionale.

Il riferimento, in particolare, riguarda l’accordo siglato in ABI il 16/4/2020 relativo alla possibilità di ricorrere alla prestazione ordinaria del Fondo di Solidarietà di settore (art. 5, co. 1, lett. a), punto 2, del D.I. n. 83486 del 2014) riferita a tutto il personale, a fronte della sospensione/riduzione dell’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica Covid-19.

Se si parte dal fatto che tale strumento può arrivare a coprire – ossia sostituire – sino al 60% della retribuzione, il combinato disposto dell’accesso alle misure di sostegno al reddito del DL n.18 del 17/03/2020 (artt. 19, 23, 24 e 26) e del fatto che l’accesso alla prestazione ordinaria del Fondo di settore debba avvenire “senza pregiudizio e nocumento per la retribuzione imponibile fiscale della lavoratrice/lavoratore” (art. 2 dell’accordo ABI 16/4/2020) introduce un dubbio molto consistente circa il fatto che le risorse pubbliche, aggiungendosi alla quota del Fondo, possano essere utilizzate per raggiungere il 100% della retribuzione.

Si tratterebbe di una ipotesi, a nostro avviso impercorribile, che distorcerebbe lo scopo dell’utilizzo di risorse, remunerate dalla fiscalità generale, necessarie ad integrare il salario a favore dei lavoratori sospesi – in tutto o in parte – dall’obbligo di eseguire la prestazione lavorativa e, elemento grave, non sarebbe rispettosa della ratio legis degli ammortizzatori sociali ossia del venire incontro alle aziende che si trovino in momentanea difficoltà, sgravandole in parte dei costi della manodopera temporaneamente non utilizzata.

Altra ipotesi da verificare riguarda l’eventuale ricorso alle risorse del DL n.18 nel caso in cui le risorse del Fondo di Settore si dimostrassero insufficienti o inesistenti per costituire la copertura sino al 60% e, quindi, si configurerebbe l’opportunità di accedere agli stanziamenti governativi tramite accordi aziendali/di gruppo.

Rispetto a questa tesi si pongono consistenti elementi di natura politica partendo dalla contraddizione tra l’opportunità di sospensione dell’attività lavorativa nel settore bancario con il ricorso agli ammortizzatori sociali e la mole delle importanti attività delegate dal Governo, tra le quali l’anticipo della CIGS e l’erogazione dei finanziamenti introdotti con il DL n. 23 dell’8/4/ 2020 a favore di imprese e professionisti in difficoltà economica a causa dell’emergenza Covid-19.

Evidenziamo inoltre che, a fronte della suddetta riduzione dell’attività lavorativa, è stato recentemente lanciato dai Segretari Generali un appello al Ministro dell’Interno Lamorgese ed a tutti i Prefetti, invocando un intervento volto a rafforzare la sicurezza di chi si trova sui posti di lavoro proprio a causa del maggiore afflusso di clientela e delle difficoltà legate all’elaborazione delle suddette attività delegate dal Governo.

Andrebbe inoltre aperto un capitolo di riflessione circa una rappresentazione oggettiva di quali siano le difficoltà del settore del credito che da anni applica severe politiche di contrazione dei costi del personale attraverso la fuoriuscita di migliaia di lavoratori anche con lo scopo di distribuire maggiori dividendi ai soci (rif. il caso Unicredit) e senza dimenticare che l’intero settore ha prodotto risultati positivi negli ultimi anni ed il rinnovo del nuovo CCNL risalente a due mesi fa si è basato esattamente su questi elementi.

Dall’oggettività di questa situazione deriva che l’integrazione per garantire la piena misura del salario delle lavoratrici e dei lavoratori del settore del credito dovrebbe trovare soluzione attingendo dalle risorse delle banche e non gravando sulle risorse della fiscalità generale.

La domanda che ci si pone riguarda quindi a quale logica di politica sindacale si ispiri l’opportunità di utilizzare i fondi governativi destinati a tutte quelle realtà produttive – ed in Italia sono moltissime – deboli per loro struttura e dimensione, da parte del sistema del credito e della finanza che, non dimentichiamo, anche nella fase di emergenza da COVID-19 ha continuato a perseguire politiche commerciali contrarie alle motivazioni per le quali sono rimaste aperte al pubblico in quanto “servizi essenziali”.

Non sfugge la necessità di aprire una discussione con la controparte ABI in merito alla c.d. FASE 2, che dovrebbe analizzare la necessità di definire un nuovo modello di concessione del credito e, quindi, una nuova organizzazione del lavoro e delle professionalità, in previsione dello scenario che vedrà il sistema produttivo molto indebolito dalle necessarie disposizioni a contenimento del contagio e dalle difficoltà economiche del Paese.

Ma di questo ancora oggi non appare traccia.

Ad oggi le iniziative politiche sembrano aver assunto un profilo rispondente più ad una logica ristretta di settore ed a corto respiro e non in una direzione che provi a declinare quel principio di confederalità di cui alle premesse.

A chiudere questa riflessione, in fase così complessa ed inedita, risulta difficile sottacere circa le modalità con le quali la FISAC CGIL arriva a sottoscrivere accordi di valenza nazionale in assenza di mandato da parte del Comitato Direttivo Nazionale, non più consultato seppur nelle disponibilità di tecnologie che consentirebbero il rispetto delle procedure democratiche proprie della nostra Organizzazione.

Arrivare alla meta tutti insieme non significa che, prima o poi, tutti ci arrivino, ma che tutti sono legittimamente chiamati a contribuire per costruire quel percorso.

Esprimiamo quindi tutta la nostra preoccupazione perché non si perdano di vista né queste modalità né lo scopo del nostro pensare ed agire come Organizzazione Collettiva.